LE DINAMICHE GLOBALI DELLA SPESA IN ITALIA NEL 2015

(Alimentare in generale e settore surgelati)

Per la prima volta, dall’inizio della crisi economica, la quota di famiglie italiane che nell’ultimo anno ha aumentato la propria capacità di spesa risulta superiore a quella delle famiglie che l’hanno invece ridotta (25,6% contro 21,3%). Si tratta di un dato che segna una forte discontinuità, basti pensare che nel 2013 il 69,3% delle famiglie aveva dichiarato che la propria capacità di spesa si era ridotta.

E’ importante segnalare che, nel 2015, la quota di famiglie che dichiara di aver aumentato i consumi (il 25,6%) è molto superiore a quella delle famiglie che hanno visto aumentare il reddito familiare (8,0%). In modo simmetrico, la quota di famiglie che ha ridotto i consumi è inferiore a quella che ha visto una contrazione del proprio reddito familiare complessivo.

Una ripresa lenta e anomala dunque ma pur sempre ripresa. E un Paese che torna se non altro a camminare (per correre ci vorrà ancora tempo e il protrarsi di condizioni favorevoli).

La recessione è finita anche se le famiglie italiane hanno lasciato sul piatto dal 2007 ad oggi 122 miliardi di euro (47 miliardi di minori risparmi e ben 75 di minori consumi). Ma più che la variazione seppur minima di segno positivo del Pil con cui si è aperto il 2015 (la crescita finale si è attestata intorno allo 0.7%) è il sentiment degli italiani ad essere cambiato; il 52% di essi (era il 41% appena un anno fa) considera invariata o addirittura migliorata la propria situazione.

Focus sul versante alimentare

Sette anni di crisi hanno però lasciato cicatrici profonde nel tessuto sociale del nostro Paese fornendo il quadro di un‘Italia bipolare e un po’ schizofrenica; se guardiamo all’aspetto che maggiormente ci interessa in questa sede (l’alimentare) ci accorgiamo che mangiamo sì la stessa quantità di cibo degli anni Settanta (2,8 kg al giorno) ma si è profondamente modificata la dieta alimentare e più estremamente le tipologie di consumo. Sempre più attirati dal bio (+ 20% all’anno, il mercato ha raggiunto i 2.5 miliardi di euro), cresce anche il “cibo della rinuncia”: il 10% degli italiani è vegetariano (un primato in Europa seguiti dai tedeschi), il 2% dichiara di essere vegano, ma ci sono anche i fruttariani, i crudisti, i reducetariani etc..

A guardare i carrelli spicca la propensione per i consumi etnici (+ 18% nel 2015); l’internazionalizzazione del gusto – Expo o non Expo – ha fatto centro nel nostro Paese complici sicuramente i flussi migratori. E nella top ten dei cibi più venduti, a rimarcare il diffuso interesse per il proprio benessere, è exploit di soia, prodotti senza glutine, integratori dietetici.

Gli stili alimentari però diventano sempre più liquidi, gli italiani sono un popolo di consumatori infedeli (se è vero che in un anno le famiglie italiane frequentano in media 21 punti vendita alimentari di cui solo 6 supermercati e iper). Più consumatori di servizi che di beni, al possesso si sostituisce l’uso.

I dati sulla spesa

Scelte di necessità, trend salutistici ed identificativi, luoghi d’acquisto

Rispetto al 2014, nel corso di quest’anno si è registrata una timida ripresa della spesa alimentare delle famiglie italiane: lo 0,3%, a valori correnti. Tale sostanziale stabilità scaturisce da tendenze contrastanti dei diversi prodotti che si sono tra di loro compensate.

Le famiglie spendono meno per l’acquisto di olio di oliva, carne bovina, formaggi, acqua minerale e vino. Sono cresciuti invece i consumi di uova, pollame e selvaggina, di altri olii e di birra.

Nel complesso il 57% delle famiglie italiane, negli ultimi anni, ha ridotto la quantità e/o la qualità della spesa alimentare; in particolare, il 5% delle famiglie ha abbassato il livello di qualità dei prodotti alimentari che acquista, il 34% ha tagliato sulla quantità, mentre il 19% ha ridotto sia qualità che quantità.

A non aver modificato negli ultimi anni i comportamenti di consumo sono solo il 36% delle famiglie per quanto riguarda la spesa alimentare; rispettivamente il 7% e il 5% hanno, invece, migliorato gli standard qualitativi e quantitativi.

Un elemento trasversale, valido per diverse categorie di consumatori, sembra essere stata la sempre maggiore consapevolezza, negli stili di vita e di consumo, del rapporto tra alimentazione e benessere; il trend con cui sta cambiando il carrello della spesa sembra sempre più allineato a quelli che sono i messaggi mediatici a questo proposito.

L’alimentare è uno speciale indicatore dello stato dell’economia nazionale, poiché si tratta della principale voce del budget delle famiglie dopo l’abitazione con un importo complessivo di 215 miliardi.

Sul fronte dei consumi parrebbe però che sempre più italiani dicano addio alla carne; secondo il rapporto Eurispes 2015, infatti, gli italiani che hanno scelto di escludere le proteine animali dalla propria alimentazione nel 2014 sono il 7,1% della popolazione (circa l’1%in più rispetto all’anno precedente); 4,2 milioni di persone nel 2014, mentre nel 2013 erano stimati a 3 milioni e 720mila, con una crescita complessiva del 15%.

Un ulteriore dato è comunque degno di nota:a cambiare profondamente nel dettaglio alimentare italiano nel 2015 sono stati i luoghi dove gli italiani fanno la spesa, con i discount alimentari che sono stati quelli che hanno fatto registrare il balzo positivo più elevato (3,6%), mentre all’opposto le piccole botteghe alimentari sono state le uniche a far registrare un calo delle vendite (- 0,6%) tra tutte le diverse categorie di esercizi, alimentari e non. Si evidenzia la tendenza da parte di un crescente segmento della popolazione ad acquistare prodotti alimentari a basso prezzo nei discount, a cui però può corrispondere anche una bassa qualità con il rischio che il risparmio sia solo apparente.

Per ciò che riguarda le macro – tendenze va detto che per la spesa alimentare il 64% delle famiglie predilige la grande distribuzione mentre il 29% il piccolo negozio. Per le produzioni a carattere industriale le famiglie si orientano in maniera più consistente verso la grande distribuzione, mentre i piccoli negozi conquistano quote maggiori di consumatori quando si tratta di prodotti di alta qualità o a carattere artigianale.

Vi è inoltre un ulteriore dato di riflessione, in ordine alle dinamiche più recenti del consumo: il 30% delle famiglie verifica prima su internet i migliori prezzi di vendita dei prodotti alimentari che andrà ad acquistare.

Internet, quindi, non è soltanto un canale importante e fortemente in crescita per quanto riguarda la commercializzazione diretta di beni e servizi, ma rappresenta, attualmente, anche la principale bussola di orientamento delle famiglie italiane sui mercati tradizionali.

Tra le motivazioni degli acquisti on line, al primo posto in assoluto la maggiore convenienza rispetto ai canali tradizionali (43%). Un ruolo non trascurabile lo giocano però altri tre elementi: la comodità di non doversi adeguare agli orari dei negozi (18%); la comodità di non doversi spostare (17%) e la possibilità di confrontare rapidamente tante diverse offerte (16%). Nel complesso, queste tre motivazioni di ordine pratico/logistico, valgono percentualmente quanto la motivazione della convenienza economica.

Di certo siamo ancora lontani dal 10% degli acquisti food del Regno Unito ma qui da noi, dove la quota degli acquisti alimentari sul totale e-commerce è pari all’1%, è più la debolezza dell’offerta che non la domanda a fare la differenza se è vero che oltre il 70% degli italiani lo pensa come un canale alternativo al pari degli altri tradizionali e già oggi 4 milioni acquistano cibo on line (erano 3,5 nel 2014).

FONTI

L’Italia che acquista e consuma

(conferme ed evoluzioni ed il trend dei surgelati)

Il cibo riveste per i consumatori delle diverse aree geografiche del nostro Paese un valore sempre molto particolare.

Nel corso del 2015 la ripresa dei consumi alimentari è stata guidata dal Centro-Nord, mentre   ancora sostanzialmente stagnanti sono state le vendite al Sud.

Le indicazioni provenienti da una recentissima ricerca Ipsos disegnano un quadro di tendenze ben stabilizzate e orientate, in grado di fornire chiari indirizzi anche per l’anno in corso.

Per ciò che riguarda i driver che indirizzano quotidianamente la spesa alimentare restiamo su temi piuttosto tradizionali: freschezza e prezzo su tutti (71%), seguiti da gusto (53%) e tracciabilità delle materie prime (37%).

Le modalità di produzione preferite sono per il 58% quelle locali e regionali, con quote importanti per biologico (43%) e sostenibile (40%).

Le nuove abitudini alimentari consolideranno le scelte verso i freschissimi tenuto conto che nel 19% delle famiglie c’è almeno un vegano o un vegetariano, cui vanno aggiunti circa 300.000 persone che si indirizzano verso una dieta fruttariana o crudista.

Il confezionato ha comunque solide basi anche grazie ad una recente maggior attenzione verso diete particolari: infatti il 32% delle famiglie italiane ha almeno un componente intollerante a qualcosa: lattosio, glutine ma anche uova, lieviti, zinco e legumi.

Se poi aggiungiamo agli intolleranti coloro che seguono diete “free from” per loro personali convinzioni o necessità, è facile prevedere che l’ascesa dei lavorati senza glutine e dei prodotti senza lattosio (già oggi in crescita rispettivamente del 31% e del 15%) subirà un’ulteriore impennata.

Passando alle categorie negli ultimi dieci anni (complici anche i “nuovi” italiani) l’etnico è aumentato del 163%, mentre se da un lato c’è un forte interesse per i segreti dei fornelli e la cucina fatta in casa, continua a mostrare segnali confortanti la dinamica positiva dei piatti pronti (+134,1%).

Infine, l’innovazione alimentare per i consumatori sembra identificarsi sempre più con una vera e propria ricerca storico-geografica; infatti, il 20% la ritrova nei sapori regionali, un 14% la coniuga alla sostenibilità di filiera, mentre un 11% vorrebbe etichette maggiormente intelligibili ed esaustive;una buona quota (13%) la vede legata alla scoperta di nuovi gusti e sapori.

Più in linea con il significato classico di innovazione è invece la risposta che riguarda i settori, dove al primo posto compaiono i surgelati (37%) seguiti dai confezionati (32%); è interessante notare che l’innovazione maggiormente percepita nel settore dei surgelati è quella legata al concetto di sostenibilità all’interno delle nuove preparazioni.

Il tema dell’innovazione – pur nelle sue differenti declinazioni – torna prepotentemente al centro dell’attenzione del consumatore; tutte le più recenti ricerche confermano che circa un quarto del fatturato dell’industria alimentare (ben il 24%, pari a 28,8 miliardi di euro) è rappresentato da prodotti che presentano un alto contenuto di innovazione: la gamma del cosiddetto ‘tradizionale evoluto’ (tra cui troviamo, com’è ovvio, le molteplici referenze di prodotti surgelati). Si tratta di un dato di notevole importanza dal momento che poco più di 20 anni fa la situazione era ben diversa, con l’alimentare classico che copriva l’85 per cento del totale ed il “tradizionale evoluto” che, con un 15 per cento, cominciava timidamente ad affacciarsi nei consumi degli italiani. Ciò significa che nell’arco di un quarto di secolo l’aumento percentuale di questi prodotti è ammontato a circa il 50 per cento.

La nostra è una società in continuo movimento dove l’estremizzazione della mobilità ha portato ad una condizione nella quale non è il consumatore ad inseguire il cibo, ma è il cibo che insegue il consumatore. Mense, bar, luoghi di ristorazione, ma anche mezzi di trasporto come aerei, navi, treni o luoghi di sosta, come gli autogrill, sono tutti spazi nei quali il consumatore incontra il prodotto surgelato. Questo accade proprio per rispondere ad un bisogno del consumatore e cioè quello di un approvvigionamento veloce, sicuro in termini di qualità del prodotto, che comporta insieme la necessità da parte del ristoratore di una preparazione con modalità rapide e rispondenti alle norme sanitarie vigenti; inoltre, il surgelato è un prodotto di ausilio per le famiglie che, a causa dei cambiamenti socio-economici, hanno ridotto il tempo disponibile per la preparazione dei cibi.

Nell’ultimo periodo si registrano nuove tendenze che evidenziano la passione degli italiani per gli chef e la cucina, divenuta ormai un fenomeno da monitorare dove gli stessi chef sono assurti a modelli di riferimento sociale, e i cui risvolti hanno impatto sui comportamenti di acquisto e consumo dei prodotti alimentari.

Una recente indagine Nomisma ha evidenziato un aspetto degno di nota: le persone che seguono spesso i programmi televisivi sono più attente alla qualità dei prodotti che acquistano e alla loro origine; un trend che può ben intercettare l’offerta del surgelato che – grazie alla linea del freddo, al confezionamento che in genere avviene con prodotti a km0, alla supervisione e all’operato di addetti specializzati – garantisce il massimo della qualità e del mantenimento delle componenti organolettiche presenti nelle fasi di pre-lavorazione.

FONTI